Abbandonare la casa coniugale può far seguire l’addebito della separazione su richiesta del coniuge interessato a far valere la responsabilità dell’altro coniuge per la fine del matrimonio.
L’addebito può comportare conseguenze rilevanti per il coniuge al quale la separazione è addebitata, quali:
-la condanna alle spese legali del giudizio;
-la perdita del diritto all’assegno di mantenimento;
-la perdita dei diritti successori verso il coniuge al quale non sia addebitata la separazione.
Se abbandona la casa il coniuge che porta lo stipendio, lasciando il resto della famiglia senza risorse, si potrebbe configurare anche il reato ex art. 570 c.p. di violazione degli obblighi di assistenza famigliare.
In tempi recenti, è stato chiesto alla Suprema Corte di Cassazione se si possa configurare abbandono del tetto coniugale per chi si trasferisce a casa dei genitori.
Il dubbio è abbastanza fondato, essendo la convivenza uno dei doveri del matrimonio.
Il trasferimento a casa dei genitori
Un caso a potrebbe essere rappresentato dalla circostanza nella quale uno dei coniugi si allontana da casa per andare a vivere dai genitori, perché sono vecchi e malati.
Ad esempio, potrebbe accadere che la moglie, preoccupata per i suoi genitori impossibilitati a muoversi, decida di lasciare la casa coniugale e ritornare a casa dei suoi.
A questo proposito ci si chiede se, in presenza di un simile comportamento, che potrebbe considerarsi anche virtuoso, si possa parlare allo stesso modo di violazione dei doveri che derivano dal matrimonio e se si possa configurare come abbandono del tetto coniugale.
La Suprema Corte di Cassazione si è espressa in proposito attraverso l’ordinanza n. 1448/2020 del 23/01/2020.
La posizione della Cassazione
L’abbandono della casa familiare si verifica in modo esclusivo quando si manifesta l’intenzione di non volere più ritornare nella casa coniugale.
Secondo la Suprema Corte si deve verificare cosa in concreto ha riferito un coniuge all’altro prima di andarsene dalla casa coniugale.
Se avesse pronunciato la seguente frase:
“Mi trasferisco a casa dei miei genitori sino a quando non stanno meglio”, potrebbe bastare ad escludere l’addebito.
Se avesse pronunciato una frase del tipo:
“Mi trasferisco dai miei genitori perché non mi sento di lasciarli morire senza nessuno accanto”, potrebbe sembrare una sorta di volontà a carattere definitivo, oppure a tempo indeterminato, perché subordinata al decesso, che si potrebbe verificare anche dopo anni, e sarebbe un periodo di tempo non quantificabile.
Nel caso preso in considerazione, la Suprema Corte ha confermato, a carico di un marito, l’addebito per la rottura del vincolo matrimoniale con la moglie poiché l’uomo aveva reso impossibile proseguire la convivenza con la donna che aveva sposato, a causa del suo carattere di figlio “attaccato ai genitori”.
Tale motivazione dell’abbandono, ritenuta priva di giustificazione anche davanti all’ “esigenza di occuparsi della madre”, è stata considerata come la causa che ha dato origine al contrasto con la moglie e ha comportato l’addebito della separazione al marito.
La posizione della giurisprudenza
Secondo la giurisprudenza, l’abbandono del tetto coniugale non giustifica l’addebito se sia motivato da una giusta causa, la quale, a sua volta, deve essere relativa a questioni del nucleo familiare, come le violenze subite oppure la presenza di una situazione di intollerabilità della convivenza tra i coniugi.
La violazione dell’obbligo di convivenza causa l’addebito della separazione, a meno che non si accerti la preesistenza di una crisi coniugale alla quale non si può porre rimedio.
Nel caso specifico, i giudici del merito avevano imputato a una situazione di prolungata ed estrema tensione tra i coniugi, da determinare l’impossibilità della prosecuzione della convivenza in modo civile, come causa della separazione.
La situazione si era verificata prima della violazione dei doveri coniugali di coabitazione da parte della moglie. (Cass. sent. n. 14591/2019 del 28/05/2019).
In qualunque situazione, chi chiede l’addebito deve comunque dimostrare che la crisi coniugale è sorta come conseguenza dell’abbandono del tetto coniugale da parte dell’altro coniuge e non da altri motivi che esistevano in precedenza.
La giurisprudenza sul tema, infine, afferma che non si verifica abbandono del tetto quando l’allontanamento è di pochi giorni ed inoltre che la cosiddetta “pausa di riflessione”, se è limitata, non è causa di addebito.